La vecchia sacrestia
La vecchia sacrestia, con un vano di passaggio a destra del presbiterio, fu la prima parte ad essere ricostruita nel 1609 e per tre secoli venne utilizzata anche come archivio (per il quale il Richino disegnò un armadio), e come luogo di riunione della fabbriceria, del capitolo dei canonici e del clero della pieve. La costruzione dei grandi e severi armadi di noce che ricoprono tre pareti è documentata a partire dal 1706 (falegname Vincenzo Poraneo, fabbro Pomponio Comini).
Durante i restauri del 1984-85, vi fu collocata la grande tela dell' Ultima Cena, di un anonimo pittore della fine del XVI secolo, chiaramente ispirata a quella di Leonardo. La sacrestia nuova, "ad uso anche di penitenzieria con camera superiore", a sinistra del presbiterio (1783-86, ma usata come sacrestia solo a partire dal 1911 ), è l'ultimo lavoro di Biagio Bellotti, che riprodusse simmetricamente le forme classiche della preesistente sacrestia, integrandosi quindi con la struttura richiniana della chiesa, salvo che per le finestre a profilo misti-curvilineo tipicamente rococò (quella di est assunse la forma semicircolare solo nei restauri del 1949 - 52). I capomastri furono Giuseppe e Stefano Olgiati e Giovanni Bottigelli. Vi sono collocate numerose tele seicentesche di interesse storico oltre che artistico: una Deposizione, attribuibile ai Lampugnani, il Ritratto del prevosto Giovanni Antonio Armiraglio (che resse le sorti della chiesa bustese durante la ricostruzione della chiesa) del pittore Antonio Crespi Castoldi, il Ritratto del cappuccino Giovan Pietro Recalcati (morto a Busto in concetto di santità nel 1681), attribuito ad Ambrogio Bellotti-Gelli, il Ritratto del prevosto Gerolamo Pozzi, forse ancora di un Bellotti.