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CHE COSA SIGNIFICA LA PAROLA “COREOGRAFIA”

 

Arte di comporre balletti e danze ideandone figure, passi ed espressioni collettive e individuali entro uno spazio scenografico e in accordo con gli sviluppi di una musica e del tema che ne sta alla base; anche il balletto stesso eseguito. Il termine fu in uso dal sec. XVI con il significato letterale di scrittura o notazione dei movimenti di danza, che fu poi assunto dai maestri di balletto Pierre Beauchamps e R.-A. Feuillet (autore di una Chorégraphie, ou l'Art de décrire la Dance par caractères, figures et signes démonstratifs, 1700), fino al sec. XIX. Ma già nel '700 aveva anche il significato di composizione di balletti o altri generi di danza teatrale.

 

La coreografia antica

Le basi della tecnica coreografica erano già presenti nelle prime forme organizzate di danza primitiva, in cui le figure elementari del cerchio e della linea offrivano gli schemi su cui articolare le danze collettive, e via via nelle danze egizia, greca e romana. La mancanza di sistemi di registrazione ha fatto giungere a noi solo rare, frammentarie testimonianze.

 

Dal Rinascimento ai nostri giorni

Dal '400 passi e figure delle composizioni coreiche (di Domenico da Piacenza, Guglielmo Ebreo , A. Cornazzano) furono descritti minuziosamente. Una maggiore complessità della coreografia e quindi un maggiore impegno creativo del coreografo si ebbero con l'introduzione del balletto nel teatro e con la conseguente profonda trasformazione della tecnica coreografica: lo stile strisciato e le lente evoluzioni geometriche lasciarono il posto a una dinamica dell'azione e del movimento sfruttato in senso verticale, con l'introduzione di elementi virtuosistici (l'élévation) e l'accentuazione dei caratteri. L'esigenza di fissare la composizione ballettistica in una partitura di facile lettura, tale da poter essere agevolmente ripresa anche a distanza di anni, fu sentita da molti coreografi e maestri di danza: da Pierre Rameau (Le maître à danser, 1725) a Carlo Blasis, da Gasparo Angiolini a Jean-Georges Noverre, ad Arthur Saint-Léon (Sténochorégraphie ou l'Art d'écrire promptement la danse, 1852), a Rudolf von Laban (Choreographie, 1926), il cui metodo si è rivelato il più efficiente e completo. Tuttavia la maggior parte dei balletti ci è pervenuta attraverso la tradizione orale di scuole e teatri.

 

Evoluzione e connessioni

La coreografia ha seguito tutti i mutamenti avvenuti nella pittura e nella musica e poiché la sua evoluzione è la stessa del balletto, per la sua storia si rimanda a tale voce. Non esistono precise formule di composizione coreografica: essa resta affidata al genio creativo dell'artista e alla sua ispirazione. In Jean-Baptiste Lully era determinata dalla capacità dei ballerini; in Philippe Quinault dipendeva dal libretto; nel sec. XVIII fu sottoposta a regole stabilite per dare risalto al virtuoso; sempre nel '700 la riforma di Noverre, annunciata nelle Lettres sur la danse et sur les ballets (1760) che costituiscono l'atto di nascita del ballet d'action, recuperò i valori drammmatici ed espressivi del balletto. Il balletto djagileviano, da Michail Michailovic FokinGeorge Balanchine, attuò pienamente, grazie ai grandi compositori del primo '900, l'interdipendenza tra musica e danza, estendendola per la prima volta alla pittura e alla scenografia. Tale interdipendenza fu altresì evidenziata nel sec. XX da L. Massine, Balanchine, Antony Tudor, Aurel M. Milloss, Frederick Ashton. Con essa e ancor più con la fusione dei vari elementi del balletto (scenografia, costumi, libretto, coreografia) attuata dai Ballets Russes e da Fokin nacque la coreografia moderna, aperta alle formule e agli stili più diversi e tesa alla ricerca di un principio unitario che fonda motivi orchestrali e coreografici provenienti da fonti diverse, quali la danza accademica e la pantomima , il folclore e la danza libera.

 

La coreografia negli spettacoli leggeri

Nel teatro di rivista, nel varietà e nella musical comedy le regole e le tecniche impiegate sono alquanto simili a quelle richieste per il balletto. Nel cinema, tanto nella trasposizione filmata di un balletto quanto nel campo più vasto del film musicale, si offrono al coreografo possibilità impensate: la ribalta fissa è annullata dalla macchina da presa e la posizione frontale del ballerino è superata in favore di molteplici angolazioni visive. Ottimi esempi di coreografie cinematografiche restano quelle di Massine per il film di M. Powell ed E. Pressburger Scarpette rosse (1948), di Gene Kelly per il film di V. Minnelli Un americano a Parigi (1951), di Jerome Robbins per West Side Story (da lui diretto con R. Wise, 1961), di Bob Fosse per Sweet Charity (1970) e Cabaret (1972) e di Maurice Méjart per Bolero di C. Lelouch (1981). In televisione, ancor più che nel cinema, è rilevante il contributo dato dal regista. Sebbene il campo dell'originale televisivo di danza (o teleballetto) sia ancora ristretto, ottime telecoreografie sono state realizzate negli Stati Uniti da Balanchine, vero maestro del genere, in Danimarca da Flemming Flindt, in Francia da Juan Corelli, in Italia da S. Egri e S. Moretti. In Gran Bretagna un valido apporto alla coreografia televisiva – soprattutto nell'ambito di trasposizioni di balletti classici per il video – hanno dato personalità quali John Cranko, A. Howard, P. Charnley e la regista-coreografa M. Dale. Nella coreografia dello spettacolo di varietà televisivo si sono segnalati G. Kelly e P. Gennaro negli Stati Uniti e in Italia giovani autori, fra cui G. Landi e M. Stefanescu, che si avvalgono di trucchi tecnici come la riproduzione di immagini all'infinito, il frazionamento di immagini ecc.