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LA SINDROME “TSUNAMI”: introduzione al Post Traumatic Stress Disorder

 

 

Il 26 Dicembre tutto il mondo ha assistito impotente alla catastrofe naturale che ha colpito i Paesi del Sud-Est Asiatico.

Tutto il mondo oggi riflette sul “futuro psicologico” di chi ha vissuto l’evento, di chi ha percepito la paura, di chi ha visto la morte e di chi si trova oggi a sopravvivere dinanzi a tutto questo.

 

Nel 1980, soprattuttto in seguito alle conseguenze della guerra del Vietnam, venne introdotto, quale categoria diagnostica (DSM-III), il disturbo post-traumatico da stress.

I sintomi riscontrati nei reduci di guerra hanno caratterizzato dapprima la definizione della “sindrome del sopravvissuto” (Lifton,1976).

Successivi studi hanno in seguito rilevato come gli stessi sintomi comparivano anche nelle vittime dei disastri. (Giusti et al.,2000)

 

Il PTSD è definito da una costellazione di sintomi ma, nella definizione di questa condizione, è compresa anche parte della sua presunta eziologia, vale a dire un evento traumatico che la persona ha vissuto direttamente, o a cui ha assistito, e che ha implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri. L’evento deve aver creato paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore (Text Revised, American Psychiatric Association, 2000)

 

Sappiamo che le definizioni diagnostiche hanno spesso rischiato di scivolare in una “restrittività classificatoria” e così è accaduto anche per la descrizione dell’evento traumatico, la quale si è focalizzata sulle caratteristiche oggettive, mentre, è il significato soggettivo dell’evento ad assumere importanza cruciale (King et al., 1995).

 

Le persone che hanno vissuto un evento stressante di estrema gravità, indipendentemente dalla loro storia clinica, subiscono molti effetti negativi; quindi la causa primaria del disturbo post-traumatico da stress risiede nell’evento esterno, non nella persona.

La sola importanza data e riconosciuta all’evento traumatico ci ha portato, anche in questo caso, ad una visione ristretta e classificatoria del trauma e della storia di vita del paziente.

 

Credo per tale motivo, l’inclusione di questo criterio diagnostico non è stato risparmiato da critiche: “Perché molte persone che hanno vissuto esperienze traumatiche, eppure non hanno sviluppato il disturbo post-traumatico da stress?”.

 

Shalev et al. (1996) dimostrarono, per esempio, che solo il 25% delle persone passate attraverso un evento traumatico, con conseguenti lesioni fisiche, aveva in seguito sviluppato il Ptsd.

Altri studi dimostrarono che circa l’80% delle vittime di un evento erano riuscite a far fronte al trauma, mentre una minoranza che varia dal 10 al 30% sviluppava disturbi di lunga durata (Meichenbaum, 1994).

L’evento in sé quindi non può essere l’unica causa del disturbo.

Attualmente la ricerca sta studiando e ricercando i possibili fattori che possano distinguere gli individui che sviluppano il disturbo post-traumatico da stress da quelli che non lo sviluppano.

 

Diverse teorie psicologiche e biologiche sono state avanzate per spiegare lo sviluppo del disturbo post-traumatico da stress: le teorie dell’apprendimento (vedi Fairbank et al., 1987; Keane et al.,1985), le teorie cognitivo-comportamentali (Chemtob et. al., 1988; Foa et al., 1986) le teorie  psicodinamiche (Horowitz,1986; 1990).

Non intendo qua presentarne una trattazione, finora, però nessuna di esse è riuscita a spiegare adeguatamente perché solo alcune persone sviluppino il disturbo in seguito a un trauma. Tuttavia oggi cominciano ad emergere alcune indicazioni sulle caratteristiche individuali che potrebbero renderte una persona più vulnerabile al disturbo.

Nello studio di Breslau et al. (1991) si sono rivelati fattori predittivi dello sviluppo del disturbo l’appartenenza al sesso femminile, la separazione dei genitori durante l’infanzia, la familiarità e la preesistenza di qualche disturbo psicologico (disturbo di panico, ossessivo-compulsivo, depressione).

 

La probabilità di sviluppare il disturbo post-traumatico da stress aumenta parallelamente alla gravità dell’evento traumatico e più sono marcati i sintomi iniziali (ansia, depressione, sintomi dissociativi: depersonalizzazione, derealizzazione, amnesia ed episodi di estraniazione dal proprio corpo) maggiori sono le probabilità che in seguito si svilupperà il disturbo (Shalev et al., 1996).

 

L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente con ricordi spiacevoli di quel momento che ricorrono in modo intrusivo nella nostra mente sotto forma di immagini, pensieri, o percezioni.

Sogni spiacevoli fanno sì che l’evento da noi vissuto riaffiori e spesso  la sensazione di rivivere l’esperienza, le  illusioni, le  allucinazioni ed episodi dissociativi ci inducono a credere ed agire come se l’episodio  traumatico si stesse a noi ripresentando.

 

Stimoli che rappresentano simbolicamente l’evento (per es. il tuono che ricorda a un reduce il campo di battaglia) oppure gli anniversari di una determinata esperienza causano reattività fisiologica  e un intenso disagio psicologico (Davison et al., 2000)

Il rivivere l’esperienza traumatica è un aspetto di notevole importanza, in quanto probabile fonte delle altre categorie di sintomi; secondo alcune teorie  ciò sarebbe la caratteristica centrale del disturbo (Foa et al., 1992; Horowitz, 1986), in quanto tale “rottura” viene attribuita all’incapacità di integrare l’evento traumatico in uno schema preesistente (le convinzioni generali che la persona aveva sul mondo).

 

La persona si sforza di evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma; sfugge dalle attività, dai luoghi e da quelle persone che in qualche modo gli evocano il ricordo; spesso è incapace di ricordare qualche aspetto importante dell’evento.

L’ottundimento della reattività generale si manifesta nella riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative e nel diminuito interesse per gli altri, in un senso di distacco e di estraneità, e nell’incapacità di provare emozioni positive (Davison et al., 2000).

L’affettività ridotta rende la persona incapace di provare sentimenti di amore; forti anche i  sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli o una normale durata della vita).

 

Questi sintomi sembrano quasi contraddittori con quelli della precedente categoria.

Il disturbo post-traumatico da stress è caratterizzato da fluttuazioni; la persona passa attraverso fasi alterne di appiattimento e di riaffioramento dell’esperienza traumatica (Davison et al., 2000).

 

Studi di laboratorio hanno confermato che i sintomi di aumentata attivazione fisiologica, quali la difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, la difficoltà a concentrarsi, l’ipervigilanza, l’irritabilità o gli scoppi di collera e le esagerate risposte di allarme, sono finalizzati a combattere le immagini prodotte dalla loro mente (Orr et al., 1995).

 

Spesso i media, riproponendo assiduamente le stesse immagini della sciagura di quei giorni, sembrano non “aver cura”  di questo, “evidenziando”  il dramma e rievocando insistentemente l’evento traumatico ai sopravvissuti.

 

Altri disturbi psicologici si associano spesso al disturbo post-traumatico da stress, quali l’ansia, la depressione, la rabbia, il senso di colpa e l’abuso di sostanze (automedicazione per alleviare il disagio).

Comuni sono anche  i pensieri e i progetti di suicidio, e così pure episodi esplosivi di violenza e problemi di natura psicofisiologica connessi con lo stress, come dolori lombari, cefalea e disturbi gastrointestinali (Hobfoll et al., 1991).

 

Lo Tsunami del 26 Dicembre sfortunatamente non ha risparmiato tra le sue vittime i bambini. Vittime anche se sopravvissute, perché hanno visto affogare i loro amici, perché hanno visto i genitori sacrificarsi per loro, perché si trovano adesso a far fronte alla perdita, al lutto, all’angoscia ed al terrore…agli incubi popolati dai mostri, ai pensieri nella loro testa, a che non diventeranno mai adulti, alle rappresentazioni e ai giochi ripetitivi del trauma, alle turbe del comportamento che diviene disorganizzato e agitato, ai disturbi del sonno.

Anche i bambini possono soffrire di disturbo post-traumatico da stress, ma in genere lo manifestano in modo diverso dagli adulti, loro hanno molte più difficoltà di un adulto a parlare di ciò che li turba…loro ce lo dicono così.

 

Il fatto di avere avuto accesso a diverse forme di sostegno sociale diminuì il rischio di disturbo post-traumatico da stress nei bambini che avevano vissuto il trauma prodotto dall’uragano Andrew (Venberg et. al, 1996).

 

Mi auguro che tutto il mondo non spenga mai i riflettori su queste vittime.

 

Articolo di Cristina Bergia, pubblicato su Vertici Network di Psicologia e Scienze Affini il 10/01/2005 http://www.vertici.it/rubriche/sea/template.asp?cod=8509

  

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