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Cenni storici relativi al Recital “ Oltre la
frontiera”
Presentazione
Le notizie
che seguono vogliono brevemente riassumere la vita dei principali
protagonisti del Recital e la situazione storico- politica degli anni
che precedettero la battaglia del Little Big Horne.
Si trattò
di uno degli scontri tra i più memorabili della lunga lotta che
contrappose per più di un secolo i Nativi dell’America settentrionale e
i Bianchi.
Alla storia
epica di questi popoli si intrecciano le vicende individuali di un
emigrato italiano che, suo malgrado, si trovò ad essere protagonista di
questa battaglia e che divenne negli anni seguenti uno dei testimoni più
intervistati ed ascoltati sia dalle autorità americane che dalla stampa.
Giovanni
Martini quindi è la voce narrante che ripercorre la storia, una storia
complessa da cui emergono le profonde incomprensioni e le improrogabili
necessità di uomini tanto lontani tra loro.
Il Recital
ricostruisce la vicenda attraverso alcuni Quadri in cui si alternano ora
i Bianchi, ora i Nativi ; lo stesso Martin si muove tra presente e
passato portando la sua esperienza di soldato fedele al proprio compito
e di italo- americano ben inserito nel paese che lo ha accolto.
Difficile
durante la stesura del Copione restare imparziali ed evitare giudizi
sulle crudeltà commesse e sulle motivazioni che costringevano i Bianchi
a sottrarre ai Nativi lo spazio vitale.
Il
progressivo spostamento ad ovest di un fiume umano in cerca di spazi
vitali doveva inevitabilmente scontrarsi con società la cui vita era
scandita da secoli secondo ritmi naturali, in un rapporto con lo spazio
e la natura diametralmente opposto ai criteri economici e politici dei
nuovi arrivati.
Con il
Recital si vuole ripercorrere un arco di tempo che va dai primi anni
settanta del secolo XIX° al decennio successivo alla battaglia di Custer
quando il “ Problema indiano” stava per essere risolto definitivamente
e, attraverso un processo che si protrasse per anni, l’opinione pubblica
americana e le alte sfere politiche e militari ebbero individuato nel
maggiore Marcus Reno, l’improbabile capro espiatorio della vicenda.
Ma Giovanni
Martini non esprime giudizi – nemmeno a processo concluso e a “ riposo”
raggiunto- limitandosi a rivivere con la memoria quella giornata afosa
del 25 giugno 1876.
Se i
personaggi, nei loro limiti umani di giudizio, si accontentano di
raccontarsi e di raccontare è il coro che esprime, rimarcando alcune
espressioni, la condanna contro chi con qualsiasi mezzo è determinato a
sottrarre spazio all’altro spingendosi, come dice il titolo, oltre il
limite della frontiera.
CUSTER E
IL 7° CAVALLERIA
George
Armstrong Custer nacque il 5 dicembre 1839 nel villaggio di New Rumley,
nell’Ohio.
Si diplomò
presso l’accademia militare di West Point e, con il brevetto di
ufficiale, entrò nelle armate nordiste impegnate nella guerra di
secessione ( ‘61/’65).
Partecipò a
numerose battaglie e, a 23 anni , ottenne il grado di maggiore generale.
Su proposta del generale Philip Henry Sheridan, suo protettore ed amico
e suo comandante di divisione nella guerra civile, nel luglio del 1866
fu richiamato in servizio per guidare un reggimento nell’ovest.
Due
divisioni militari furono previste per l’ovest: quella del Missouri,
suddivisa nei dipartimenti del Dakota, Platte, Missouri e Texas e quella
del Pacifico, con i dipartimenti della California e della Columbia.
Fu formato
il 7° reggimento Cavalleria comprendente 12 compagnie dislocate nel
Kansas, a Fort Riley.
Custer
sperimentò la sua tattica nei confronti dei Nativi quando, nel novembre
del 1868, dopo due settimane di marcia, sorprese e sterminò di prima
mattina i Cheyenne di Caldaia Nera.
Il
villaggio comprendeva 51 tende con circa 400 persone: ne morirono 100 ma
19 soldati, inseguendo un gruppo di pellerossa, caddero in un’imboscata.
Custer fu
accusato di non aver tentato di prestare soccorso e da allora rimase
inviso a una buona parte del reggimento.
Il
reggimento era costituito per il 70% di nati all’estero ed era
sottoposto ad una disciplina durissima: paga bassa, vitto immangiabile,
alloggi inospitali .
Per molti
generali, tra cui Custer, combattere contro gli indigeni era
un’operazione di polizia e quindi mancava loro la tensione ideale della
grande causa.
Le
diserzioni erano alte: nel 1871 circa 8000 soldati su un totale di 27000
abbandonarono il proprio reparto rischiando la corte marziale.
L’allenamento era scarso e raramente si effettuavano esercitazioni di
tiro o di maneggio con i cavalli, in quanto vi era una riserva limitata
di munizioni.
Vi erano
forti rivalità e fazioni all’interno del 7°: una a favore di Custer, una
per il capitano Benteen che aveva affrontato a duello Custer per le
tensioni nella questione di Caldaia Nera , una che si appoggiava al
maggiore Reno e l’ultima di neutrali.
Gli anni
tra il 1868 e il 1873 furono abbastanza tranquilli: nel marzo del ’73 al
7° fu ordinato di trasferirsi nel territorio dei Dakota in previsione
delle operazioni connesse con la costruzione della ferrovia Northern
Pacific. Base operativa divenne Fort Lincoln, sulla riva destra del
fiume Missouri in territorio Dakota.
Custer in
questo periodo partecipò alla campagna del fiume Yellowston per
tracciare il percorso della ferrovia e alla spedizione per la ricerca
dell’oro nelle Colline Nere.
Per tutto
il ’75 il reggimento fu impegnato nella sorveglianza degli accessi
settentrionali delle Colline Nere, vietate ai Bianchi, arrestando e
rispedendo indietro centinaia di minatori ed emigranti illegali.
La
spedizione comprendeva 1000 uomini e 2000 cavalli e muli : entrò nel
territorio dei Lakota , nella Golden Valley, il 27 luglio.
Per cinque
giorni tutti scavarono e trovarono buona quantità di metallo : Custer
mandò un rapporto in cui scriveva : “ ..lo si trova persino nelle radici
dell’erba… in alcuni corsi d’acqua basta riempire la scodella di ghiaia
per trovarvi oro in quantità e in breve tempo e con poco lavoro chiunque
potrebbe fare un buon raccolto…”
Erano
affermazioni esagerate, ma in pochi mesi i minatori erano già 1000.
Custer per
generazioni di americani incarnò l’idea dell’eroe privo di difetti
oppure del mostro assetato di sangue: in realtà fu innanzitutto un
soldato, certamente ambizioso, ma nello stesso tempo ammiratore dei
nativi per alcuni aspetti del loro modo di vivere, come emerge in un
passo tratto dalle sue memorie in “ La mia vita nelle pianure”: “..
coraggioso cacciatore, impareggiabile cavaliere e guerriero delle
pianure nelle quali la natura lo ha collocato… c’è un incoercibile
antagonismo tra l’indole dell’indiano e quella dell’individuo anomalo
in cui il benpensante fratello bianco vorrebbe trasformarlo…egli non può
essere se’ stesso e venire civilizzato: in tal caso si spegne
gradualmente e muore.”
Il generale
montava Vic, un sauro con le zampe bianche e una macchia dello stesso
colore sulla fronte, mentre le compagnie avevano cavalli del medesimo
colore per facilitarne il riconoscimento.
Aveva una
formazione musicale di 13 soldati, tra cui l’italiano Jhon Martin
trombettiere, comandata dal capo musicista Felix V. Vinatieri; inno
ufficiale del 7° fu il brano gaelico del settecento Garry Owen, già inno
dell’87 Royal Irish Fusiliers durante le guerre napoleoniche.
L’insegna
era uno stendardo blu con frange e l’aquila americana e un guidone a
stelle e strisce con le insegne del reparto e un cerchio di stelle
indicanti gli stati dell’Unione (38).
Come mai la
sconfitta nella battaglia del Little Big Horne?
Il grado di
efficienza dell’esercito fu sempre inferiore al livello minimo
indispensabile per ottenere risultati definitivi: Custer sottovalutò il
numero degli indiani e il loro potenziale bellico ma , aspetto più
grave, non ci fu un buon coordinamento tra i reparti, cosa imputabile
anche alle tensioni esistenti tra i superiori.
Il suo
personale vessillo di battaglia, una bandiera a coda di rondine con la
metà superiore rossa e quella inferiore blu con due sciabole incrociate,
non fu trovata e restò sul campo insieme a ciò che restava della sua
compagnia.
Il
trattato di Fort Laramie
L’afflusso
dei cercatori d’oro e degli emigranti dal 1860 in poi era già aumentato
nel Montana e nell’Idaho : ad esempio sorse in pochi giorni Virginia
city, con 15000 abitanti.
Per
raggiungere le Montagne Rocciose si seguivano varie strade , la più
praticata era la Pista dell’Oregon sino a Fort Hall, ma nel maggio del
1863 John Bozeman, un mercante che trasportava le merci ai campi
minerari del Montana , si avviò da Laramie passando i territori dei
Monti Big Horn, zona di caccia della nazione Lakota.
Nei primi
tempi gli Indiani lasciarono transitare, limitandosi a chiedere caffè o
tabacco come pedaggio: 12 anni prima (1861) l’esercito aveva acquistato
dalla Compagnia Americana delle pellicce Fort Laramie, facendone una
base per le truppe e qui nell’estate del ’51 furono riuniti i
rappresentanti di 10000 Indiani, tra cui Lakota e Cheyenne, per firmare
un trattato presentato dal governo americano, noto come il Trattato di
Fort Laramie.
L’articolo
più importante concedeva ai Bianchi il diritto di transitare nel tratto
di pianura sulla Pista dell’Oregon, detta Via Sacra, in cambio di
un’indennità di 50000 dollari all’anno.
Il trattato
prevedeva i confini di ogni tribù presente e obbligava gli Indiani a non
farsi guerra.
Dal ’64 in
poi la presenza massiccia di fortificazioni ed il transitare dei
vaporetti sul Missouri, con il continuo consumo di legna da ardere per
le caldaie a vapore , aveva allontanato le mandrie di bisonti : i
soldati impegnati nei forti erano circa 5000 unità divisi in 23 posti
fortificati ma gli Indiani continuarono la guerriglia , nel territorio
delle pianure del nord.
Dalle
riserve indiane del Missouri, nella primavera del ‘66 alcuni inviati di
pace si diressero presso i campi indiani del fiume Powder per
convincerli a scendere a Fort Laramie per firmare un nuovo trattato,
cioè “ toccare la penna”. Alcune bande, comandate da Nuvola Rossa e
Vecchio Uomo che teme i Suoi Cavalli, scesero a valle mentre Cavallo
Pazzo e Toro Seduto restarono in attesa nei territori di caccia.
Gli
incontri durarono alcune settimane ma si risolsero con un nulla di fatto
perchè il governo, rappresentato da militari e da civili, offrì agli
Indiani 15000 dollari all’anno per 50 anni in cambio del diritto di
transito nei territori del Powder e delle montagne del Little Big Horn
ma solo alcuni capi minori, soprattutto capi- mercanti di piccole bande
che vivevano già stabilmente vicino alle riserve, accettarono.
Intanto a
270 km da Fort Laramie, 100 km a nord di Fort Reno, fu iniziata la
costruzione di un forte che avrebbe dominato la parte centrale della
pista Bozeman, Fort Phil Kearny.
Gli Indiani
, accampati a 80 km a nord del forte, attaccarono sia il forte che la
pista Bozeman che da questo momento risultò intransitabile.
Nel
dicembre del’66 un ufficiale appena giunto, William Fetterman, in
disaccordo con il diretto superiore, il colonnello Carrington, uscì dal
forte e attaccò prima dell’arrivo del reparto.
Tra i
guerrieri indiani era presente Cavallo Pazzo, a capo di mille uomini di
diverse tribù: Arapaho, Oglala, Minneconjou, Cheyenne settentrionali.
Lo scontro
decisivo avvenne però il 21 dicembre quando 81 uomini, al comando di
Fetterman, avanzarono verso i taglialegna intenti a lavorare fuori dal
forte e caddero in un’altra imboscata, nota come la Battaglia dei Cento
Uccisi.
Cavallo
Pazzo divenne un eroe e la vittoria fu celebrata con la danza dello
scalpo mentre il governo destituì il colonnello Carrington e si impegnò
nella costruzione di nuovi forti nelle zone di frontiera.
La Pista
Bozeman era controllata costantemente dagli Indiani .
Trascorso
l’inverno essi si riunirono in luglio, durante la “Luna in cui le
ciliegie diventano rosse”, presso il Little Big Horne e compirono la
Danza del Sole, rito propiziatorio a cui partecipavano sciamani e
danzatori.
Alla fine
del mese partirono due spedizioni in direzione dei forti della Pista:
due gli scontri che si verificarono, noti come la battaglia di Fort
Smith e la Battaglia dei cassoni dei carri.
In questi
scontri il numero dei soldati era lievemente inferiore a quello dei
nemici ma essi erano stati da poco dotati di fucili Springfield Allin a
retrocarica e a cartuccia metallica che avevano una notevole potenza di
fuoco e stavano via via sostituendo le armi ad avancarica che sparavano
due colpi al minuto. Questo scontro durò dalle nove del mattino fino
alle cinque del pomeriggio e fu per gli Indiani un fallimento per la
potenza imprevista delle armi nemiche.
Il giorno
dopo, 2 agosto 1867, gli indiani tentarono di nuovo di assaltare il
forte: alcuni cercarono di superare la barriera di fuoco e si gettarono
sui carri posti a difesa della palizzata.
Alla fine
dell’ anno una commissione di generali tentò di contattare il maggior
numero di capi indiani per rivedere il trattato di Fort Laramie.
I delegati
del governo, tra cui il generale Sherman, stilarono un rapporto in cui
espressero preoccupazioni circa la soluzione del problema indiano.
Nel mese di
ottobre del 1868 il Trattato fu firmato per poi essere ratificato dal
Senato, il 16 febbraio del 1869.
Accettarono
di firmare Coda Maculata, Cervo Zoppo, Vecchio uomo che teme i suoi
cavalli mentre Toro Seduto fece sapere che , pur rifiutando qualsiasi
contatto con l’uomo bianco, sarebbe rimasto in pace se non avessero
invaso la terra. Il trattato assegnava alla nazione sioux tutti i
territori ad ovest del fiume Missouri sino alle Colline Nere ( art.2),
senza fissare una linea precisa .
Interessante l’articolo 6 che assegnava 160 acri di terreno della
riserva in proprietà personale, se la terra fosse stata coltivata e
abitata per tre anni di seguito ( presso gli Indiani era assente il
concetto di proprietà privata della terra); l’articolo 10 dava ad ogni
Indiano una dotazione annua di merci e di razioni alimentari da ritirare
nelle Agenzie governative e assegnava 20 dollari all’anno ad ogni capo
famiglia che restava a vivere nella riserva e 10 a chi stava nei
territori di caccia.
In questo
modo il governo riconosceva di fatto , anche giuridicamente, il concetto
di “indiano nomade”.
Valeva
comunque, come parere unanime, il detto ormai proverbiale che espresse
il Generale Philip Sheridan nel 1870: “ il solo indiano buono è un
indiano morto”.
L’articolo
17 poi stabiliva che i soldati dovevano abbandonare i territori di
caccia e chiudere per sempre la Pista Bozeman.
Era un
trattato ambiguo che rinviava ancora una volta il problema, in attesa di
eventi futuri.
Toro
Seduto, Cavallo Pazzo e il villaggio indiano il 25 giugno 1876 (data
centenario nascita Stati Uniti)
Nel
Montana, quel giugno del 1876, erano presenti tutte le nazioni Teton,
accampate lungo il fiume dell’Erba grassa: il villaggio si estendeva
per quasi cinque chilometri.
Molti i
capi presenti, tra cui Toro Seduto e Cavallo Pazzo.
I campi
erano disposti in grandi cerchi di tende: 120 quelle dei Cheyenne, con
960 persone tra cui 60 guerrieri; 240 tipì degli Oglala, con 105
guerrieri su un totale di 1680 persone; 68 quelle dei Brulè, con 30
guerrieri; più a sud erano dislocati gli accampamenti degli Izatipicola
o Sans Arc, 110 tende e 49 guerrieri; i Minneconjou, circa 1050 con
almeno 66 guerrieri ed infine gli
Hunkpapa
,capitanati da Toro Seduto , disposti verso l’altipiano e con 114
guerrieri su un totale di 1860 persone.
Tra i capi
degli Oglala, oltre a Cavallo Pazzo, c’erano Cane e Strada Grande; tra
gli Hunkpapa Re Corvo, Luna Nera e Toro Seduto.
I due campi
indiani di Toro Seduto e Cavallo Pazzo erano rimasti molto vicini perché
i Bianchi, essendo fallito il tentativo di acquistare le Colline nere,
all’inizio della primavera avevano cominciato apertamente le ostilità.
L’armamento di cui gli Indiani erano dotati, in previsione dello
scontro, era costituito da armi da fuoco, armi bianche e da lancio (
furono usati circa 1000 archi, con 40 frecce ognuno); le armi da fuoco,
entrate in uso da almeno 50 anni, erano carabine a ripetizione e a
colpo singolo a retrocarica.
Toro Seduto
era nato nel 1831, sulle rive del fiume Ree, nel Sud Dakota, ed era
figlio di un guerriero chiamato Ritorna, cioè colui che torna sempre
verso il nemico, per contare un altro colpo, ossia toccarlo senza
ucciderlo con il bastone rituale dei colpi.
A 20 anni
diventò capo della società dei Cuori Forti, un gruppo di guerrieri
coraggiosi seguaci delle più pure tradizioni lakota,.
Compì la
prima azione di guerra nel 1846 contando colpo su un nemico:
quando i
rapporti con i Bianchi si guastarono irrimediabilmente, dopo il 1860, fu
sempre partecipe alle principali azioni militari , come nel luglio del
’64 , durante l’attacco di una colonna di soldati contro l’accampamento
di posto sul Little Missouri.
Nel 1872,
quando vi fu la prima violazione del Trattato di Fort Laramie, organizzò
con Cavallo Pazzo un’azione memorabile contro gli invasori.
Dopo la
battaglia di Little Big Horne e la resa nel 1881, alcuni detrattori
americani, non sapendo che sul suo copricapo di guerra vi erano più di
60 penne d’aquila ( una per ogni azione) cercarono di sminuire il suo
prestigio accusandolo di codardia.
Quando si
arrese pronunciò un discorso che smentiva ogni diceria: “…la terra che
ho sotto i piedi è ancora mia. Non l’ho mai ceduta o venduta…se ho
lasciato le Paha Sapa ( Black Hills) cinque anni fa, fu perché
desideravo tirare su la mia famiglia in tranquillità. E’ la legge della
grande madre che tutto sia in pace nel suo territorio; ho sempre avuto
intenzione di ritornare in questa terra. Voglio stipulare un trattato
con gli Stati Uniti , un trattato serio. Desidero testimoni da entrambe
le parti, Giubbe Rosse e Americani. Scrivete che sono stato l’ultimo
della mia gente a deporre il fucile.”
I Dakota
erano divisi in due gruppi: i Santee o Dakota dell’est e i Teton o
Dakota dell’ovest.
Il primo
riferimento preciso sulla storia di questo popolo si trova in una
Cronaca dei Gesuiti del 1640 in cui vengono definiti “Indiani della
carne” poiché cacciavano i bisonti ai limiti delle praterie.
Nel secolo
successivo il colonnello George Groghan compilò una Lista delle diverse
nazioni e tribù degli indiani nel Distretto settentrionale del Nord
America in cui essi comparivano come “La Sue” ed erano calcolati in
10.000 guerrieri.
I gruppi
dakota erano sette e prendevano nome dai luoghi di origine o dalla
posizione del campo occupata nelle riunioni annuali dell’intera nazione;
le tribù ad ovest con il passare degli anni cambiarono il nome in Lakota
. Migrarono verso il fiume Missouri e conquistarono tutto il territorio
compreso tra il fiume menzionato e le Montagne Rocciose.
In questi
spostamenti spinsero molte tribù, come gli Shoshoni e gli Arikara,
lontane dai territori di caccia.
Per varie
generazioni i Teton avevano seguito le mandrie a piedi per abbattere con
coltelli, asce, lance, mazze costruite con il femore dei maschi di
bisonte gli esemplari che si staccavano dal branco poi, con
l’introduzione del cavallo, divennero abili nel cavalcarlo e veloci nel
cacciare il numero indispensabile di bisonti .
Altra arma
importante era l’arco di legno di quercia e tasso oppure di corna di
pecora di montagna.
Le donne
scuoiavano e macellavano le bestie e preparavano il Pemmican carne secca
e polverizzata , unita a erbe , bollita ed insaccata in vesciche vuote;
altra carne veniva consumata fresca mentre le pelli (18/20) servivano
per il tipì, una tenda del diametro di cinque metri che poteva ospitare
sette-otto persone.
La
poligamia era piuttosto diffusa, dato che vi erano sempre più donne che
uomini, e dopo un certo periodo l’uomo sposava una o più sorelle della
prima moglie. Un gruppo di tipì era l’entità politica più piccola, cioè
una banda con a capo il guerriero più valoroso.
Il potere
era però gestito dalla totalità degli adulti responsabili, organizzati
in società, ossia confraternite dette Akicita come quella di cui faceva
parte Toro Seduto.
Fino agli
anni quaranta del 19° secolo i rapporti con i Bianchi erano stati per lo
più buoni, basati su scambi commerciali di pelli in cambio di prodotti
europei.
I Lakota
erano stati solo sfiorati dalle numerose epidemie di vaiolo e di colera
che avevano invece sterminato gli Arikara ed altri popoli sedentari che
vivevano presso il Missouri e che avevano frequenti contatti con i
Bianchi.
CAVALLO
PAZZO
L’altra
figura carismatica su cui erano puntati gli occhi degli indiani del
Little Big Horne era Cavallo Pazzo.
Nacque tra
il 1840 e il 1845 nei pressi delle Colline nere.
Era portato
per natura alla vita contemplativa e solitaria e visse sempre nei
territori di caccia del Powder.
In
battaglia era solito dipingere il corpo con macchioline bianche
simboleggianti la pioggia e portava un’unica penna ed un picchio
imbalsamato appeso ai lunghi capelli chiari.
Era
considerato un invulnerabile ed il suo stile di lotta unico : smontava
dal cavallo in corsa e si avventava sul nemico con la mazza o con la
lancia oppure chinandosi e tirando con l’arco o con il fucile.
Fu ucciso
per colpa della sua gente mentre il suo migliore amico lo teneva stretto
di fronte alla baionetta di un soldato.
Aveva la
fama di invulnerabile ma morì ancora giovane nel settembre del 1877 nel
Nebraska nella riserva di Camp Robinson, ucciso dal soldato William
Gentles, mentre Piccolo Grande Uomo, uno dei suoi guerrieri ormai
succube dei bianchi, lo teneva fermo per impedirgli di difendersi.
MARTINI
GIOVANNI
Nato quasi
certamente a Sala Consilina (SA) nel 1852 (come di recente confermato
dallo storico Prof. Giuseppe Coltritti,), abbandonato alla Ruota come
esposto e cresciuto presso un Ente religioso, emigrò in America poco più
che ventenne per cercare lavoro come musicista- trombettiere.
Arruolatosi
nell’esercito americano, si trovò insieme al 7° cavalleria accanto al
generale Custer e fu l’unico a salvarsi della sua compagnia perché
mandato dal generale a sollecitare l’invio dei rinforzi presso il
colonnello Benteen.
Negli anni
che seguirono la battaglia del Little Big Horne il sergente Martin fu
chiamato a testimoniare durante il processo della Commissione
d’inchiesta in qualità di testimone dei fatti e fu ancora intervistato
per il giornale “Cavalry Journal” dal giornalista Walther Graham, poco
tempo
prima di
morire.
Rimase
nell’esercito fino agli anni della pensione, nel 1904, e successivamente
lavorò come bigliettaio nella metropolitana di New York.
Morì la
vigilia di Natale del 1922 .
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